Ho fatto la conserva di pomodoro con mia madre per un giorno ed ho capito che le cose buone te le devi sudare.

Ci sono esperienze che cambiano la vita, alcune in meglio, altre in peggio. Sta di fatto che ti cambiano senza che tu te ne accorga minimamente. Il 2020, giusto per ricordarlo come un anno non molto entusiasmante, mi ha fatto vivere l’esperienza più intensa della mia vita. Non fatevi strane idee, non sono andata su un Monte Tibetano a condurre una vita ascetica fatta di preghiere e riso in bianco. No, no, sono semplicemente tornata a Soriano Calabro, in provincia di VV.

Soriano C, per chi non lo conoscesse, è il luogo dove sono cresciuta. Un paese di 2.000 anime immerso nella natura, nella tranquillità e, lasciatemelo dire, nella noia. Comunque, questa lunga e fitta premessa è per dirvi semplicemente che ero tornata a “casa”. Ancora ricordo il senso di disorientamento e sgomento quando, dopo quindici giorni di quarantena, vidi la luce e degli esseri viventi che respiravano, ovvero la mia famiglia.

Iniziai in una calda e afosa giornata la mia vita da “nuova cittadina” di Soriano. Più passavano i giorni e più mi abituavo alla mia nuova quotidianità. Passavo le ore a dipingere, creare e filosofeggiare. Avevo trovato quella che era la mia dimensione. Lasciandomi trasportare da questa meravigliosa esistenza da artista maledetta vivevo beatamente. In tutto questo, la mia assenza aveva trasformato la mia cameretta adolescenziale. Le pareti, inoltre, erano state tinteggiate di verde, il mio colore preferito secondo mio padre. Informazione assolutamente errata collegata alla vernice avanzata dalla tinteggiatura della cucina.

Ignara di quello che sarebbe successo da lì a poco, stavo per svolgere la mia solita quotidiana sessione di meditazione, offerta gratuitamente dall’app Calm che consiglio vivamente. Posizionata e rivolta verso la natura incontaminata del mio giardino, chiusi gli occhi. Proprio nel momento della catarsi sentii gridare il mio nome. Avrei riconosciuto quella voce anche in mezzo ad altre mille voci, forte, marcata e un pizzico infastidita. “Rosariaaaaaaaaaaaaa, vieni qui immediatamente”.

Ad interrompere la meditazione di Osho fu mia madre che doveva darmi assolutamente una notizia, che io non sentivo in quel momento la necessità di ascoltare.

“Dato che non si vive solo di filosofia e di arte, ma si mangia. Domani arriva un quintale di pomodoro da fare e tu mi devi aiutare.” Presa di stucco, l’unico suono che riuscii ad emettere fu il seguente: “Ah”.

Eh sì, cari amici, certe volte nella vita bisogna far finta di non capire perché si soffre di meno. In quel momento però non riuscii a fingere e la sofferenza prese il sopravvento. Cambiai espressione, proprio come quando la commessa ti dice che taglia del vestito a prezzo stracciato non c’è. Notando il terrore sul mio volto, madre disse: “Sempre la solita esagerata, se mi ascolti e non fai la lenta ci sbrigiamo subito.” Adesso, io non so se avete presente quanto sia un quintale di pomodori, perché io prima di quel giorno non mi ero posta questo problema. Allego foto comunque.

In questo momento immagino che la vostra faccia sia simile alla mia quando alle 5 e 30 del mattino, la sveglia suonò. Mia mamma, agile come un falco, si precipitò nella mia stanza e accese immediatamente la luce, una luce artificiale forte tanto quanto il mio accento.

“Dai dai muoviti, mettiti sta tuta. Bevi il caffè che non abbiamo tempo da perdere”.

In mezzo a tutto questo marasma, vorrei concentrarmi un attimo sull’outfit studiato sempre da lei, che era di una bruttezza e scomodità senza uguali. Il pantalone, bucato e scolorito, mi arrivava alle caviglie e la maglia, un’arma di tortura, mi stringeva talmente tanto da non permettermi di respirare. Avevo la divisa da guerra ora, dovevo combattere.

Una lacrima bagnò il mio viso quando, giunta in garage, scorsi due sedie, una bacinella grande quanto la mia stanza e molte, ripeto molte, cassette di pomodoro incastonate una sopra l’altra.

Inizio con il dirvi che fare la salsa di pomodoro è propriamente un affare di famiglia, ognuno ha un suo metodo che viene tramandato da generazione in generazione. Pensate voi che fortuna che a custodirlo nella mia famiglia sia io.

Ma torniamo a noi, ero lì immobile. Avevo due possibilità per sopravvivere: fare o fare. Non potendo scegliere il mio destino, mi ricordai della famosa scena in cui Rocky Balboa si prepara al combattimento e subito mi venne la forza. Quel giorno mi sentivo anche io un po’ una guerriera perché stavo per affrontare la sfida delle sfide.

Fare la salsa di pomodoro è un’arte oltre che una guerra. Ci sono delle fasi e regole che vanno rispettate. Era stato stilato un cronoprogramma, detto a voce, da rispettare e soprattutto a fare la project manager era mia madre.

Prima di iniziare la narrazione sappiate che suddivideremo la preparazione della salsa in fasi per facilitare la comprensione vostra. Iniziamo.

La prima fase è la cernita. In pratica, molto in pratica, dovevamo esaminare attentamente ogni singolo pomodoro affinché fosse senza spaccature o marcio. Non buttarlo con rabbia nella grande bacinella, ma accompagnarlo delicatamente. Il tutto apparentemente facile quando devi controllare due o tre pomodori per fare l’insalata, non quando devi controllarne milioni minuziosamente.

Passiamo ora alla seconda fase, quella che dovrebbe essere la più divertente: il lavaggio. Questo, senza giri di parole, è proprio il lavaggio. Si lavano i pomodori precedentemente scelti e si controllano di nuovo, perché come dice mia nonna, “ u dijù è cuomu nente”, ovvero, “qualcosa di più è come niente”. In filosofia, un concetto anche molto profondo, nella cultura di casa mia significa che per non sbagliare bisogna guardare bene le cose più volte.

Ed ecco che nel giro di poche ore eravamo entrate già nella terza fase, quella del duro lavoro e della fatica. Da qui si decide come andrà a finire l’intera opera, ma soprattutto si determina la bontà della nostra amata salsa. Questa parte del lavoro consisteva nel tagliare a metà i pomodori e metterli in quella che noi chiamiamo a “coddara” (una grande pentola che ci tramandiamo da generazioni, guai a non usare quella di famiglia, si potrebbe compromettere il destino della salsa).

Alle 12 in punto il programma stabiliva una breve pausa pranzo. Il menù prevedeva un piatto di pasta da mangiare nel giro di pochi minuti e un caffè bollente, bollente come il sole di quella giornata.

Eravamo arrivate a forza di imprecazioni silenziose alla quarta fase, la parte più significativa del nostro viaggio nella salsa di pomodoro. Non ci era permesso sbagliare, niente doveva distogliere la mia attenzione. Mia madre, come una vera leader, aveva programmato un piccolo brainstorming per fare il punto della situazione. Mi sentivo con il peso della tradizione sulle spalle, non potevamo commettere errori, sarebbe stato l’inizio della maledizione della salsa. A questo punto, si doveva cuocere il pomodoro. Penserete voi facile, cioè non si può stare lì a guardarlo come fosse un film, si deve girare, girare e ancora girare. A me modestamente mi giravano anche un po’ perché non avevo mai fatto palestra come quel giorno in tutta la mia vita.

Dalla cottura si passa alla macinatura. La fase più pericolosa, anche perché il pomodoro cotto giustamente brucia. A manovrare il “passapomodoro” c’era l’esperienza di mia madre, a me toccava la l’ingrato compito di andare a prendere velocemente il “contenuto-lava” e inserirlo nell’apposita macchina.

Sesta e ultima fase, anche questa molto frenetica, è quella del riempimento. Qui, bisognava “semplicemente” versare il contenuto nelle bottiglie. Io e mia madre sembravamo due chirurghe che stavano operando a cuore aperto, perché il “nettare degli dei” costato tanta fatica non poteva cadere. Se pensate che fosse tutto finito, vi sbagliate di grosso. No, assolutamente. Il pomodoro deve bollire 40 minuti per la conservazione. Quindi, nella “pausa cottura” per ottimizzare il tempo si pulisce. Sembrava il campo di battaglia dopo una guerra. Pentole, pomodori schiacciati e macchie di sugo erano ovunque.

In quel preciso istante un fritto misto di emozioni mi travolse, ero così su di giri che avrei fatto altri 100 kg di salsa. Le cose però sono destinate a finire e anche l’avventura nella salsa di pomodoro era terminata. Quello che mi ha lasciato oltre una bruciatura di primo grado, sono diversi insegnamenti che qui vi elencherò:

Ho imparato che la mattina fa la giornata (citazione di mia nonna), ho imparato che il pomodoro ciliegino è più dolce del Piccadilly, ho imparato che i pantaloni delle scuole medie dopo una certa età diventano scomodi, ho imparato che il passapomodoro è una macchina infernale, ho imparato che ti bruci davvero se metti la mano sul fuoco, ho imparato che un quintale di pomodori sono 100 kg, ho imparato che il project management l’abbiamo inventato noi in Calabria, ho imparato che la tuttologia è una branca del project management calabrese.

Ho imparato che le cose buone te le devi sudare.

CIt Rosaria

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